Sepolta nel fitto sottobosco delle continuazioni e delle emulazioni cinquecentesche dell'Orlando Furioso, la produzione epica di Pietro Aretino ho scontato con il plurisecolare oblio i criteri di eccellenza, paradigmaticità e canonicità che presiedono anodinamente alla storiografìa letteraria. Decurtati da interventi censori, trasmessi sotto mentite spoglie dopo la messa all'Indice (1558) dell'intera opera
aretiniana e letti fin dai più disponibili interpreti come stanco esercizio di rimaneggiamento di episodi boiardeschi ed ariosteschi (Larivaille, Pietro Aretino 89-96; 280-85)1, gli esperimenti epici dell'Aretino
cominciano a riscuotere una più solidale attenzione soltanto negli ultimi anni, allettando criticamente proprio sul versante delle loro inibizioni ed aporie2. [...]